Di Patrick Lawrence – 29 ottobre 2024.
In un memorandum del Dipartimento di Stato dal titolo “Review of Current Trends” e contrassegnato come “Top Secret”, George F. Kennan rifletteva sulla situazione degli Stati Uniti al 24 febbraio 1948. La data presente sul rapporto. Le vittorie del 1945 erano passate da tre anni e gli Stati Uniti si ritrovavano improvvisamente ad essere una potenza globale. Come sintetizzava magistralmente qualche anno dopo Luigi Barzini, noto giornalista italiano, in Gli americani sono soli al mondo (Random House, 1953), gli statunitensi erano “tanto nervosi e incerti, quanto potenti.”
Divenuto il più celebre diplomatico americano durante i decenni della Guerra Fredda, Kennan è oggi ricordato come l’architetto della politica di “contenimento” di Washington. Riportiamo di seguito un breve, illuminante, passaggio della sua visione del dopoguerra:
Abbiamo circa il 50% della ricchezza del mondo, ma solo il 6,3% della sua popolazione…. Il nostro vero compito da oggi è quello di concepire un modello di relazioni che ci permetta di mantenere questa posizione di disparità senza che la nostra sicurezza nazionale ne risenta. Per farlo, dovremo fare a meno di ogni sentimentalismo e di ogni sogno a occhi aperti…. Non dobbiamo illuderci di poterci permettere oggi il lusso dell’altruismo o di divenire il benefattore mondiale.
Più avanti nel suo scritto Kennan ipotizzava:
Non è lontano il giorno in cui dovremo occuparci del concetto di potenza diretta. Quanto meno saremo ostacolati da slogan idealistici, tanto meglio sarà.
Quanto è strano leggere queste parole tre quarti di secolo dopo? Leggerle mentre l’amministrazione Biden porta avanti, attraverso il suo cliente israeliano, un genocidio così feroce, così sfacciato nella sua malvagità, che facciamo fatica a trovare paragoni nei decenni che separano l’epoca di Kennan dalla nostra. E quando li troviamo – il bombardamento incendiario della Corea del Nord, il massacro dei vietnamiti – ci troviamo di fronte all’orrore nascosto nei “concetti di potenza diretta” che il diplomatico aveva anticipato quando l’America iniziava a concepire la sua egemonia globale.
Le bande di potere e gli apologeti di Washington hanno sempre ideato “slogan idealistici” in tutti i decenni di supremazia americana che sono seguiti. Il regime di Biden li recita regolarmente mentre finanzia e rifornisce l’Israele terrorista che massacra i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e, ultimamente, anche i libanesi. Non potremo mai fare a meno di ascoltare dichiarazioni ufficiali pieni di intenti benevoli – “il bene del mondo”, secondo l’espressione sciatta di Kennan – da coloro che hanno sacrificato (al potere) ogni credibilità dopo gli eventi del 7 ottobre di un anno fa.
Tutto questo è ormai palese a tutti, a livello planetario. Coloro che pretendono di agire in nome della giustizia e per conto dell’umanità conoscono perfettamente la vacuità di queste affermazioni. Lo sanno anche coloro ai quali si rivolgono. La mera finzione è sufficiente nel nostro mondo post-7 ottobre. Si preferisce, proprio come osservava la Arendt ne Le origini del totalitarismo, che le persone sottoposte a una propaganda incessante arrivino a preferire l’inganno. L’inganno, infatti, offre rifugio in una realtà costruita, una meta-realtà, una realtà parallela a quella che abbiamo creato ma che non possiamo sopportare. Questa – chiamiamola tentazione dell’inganno – è una delle conseguenze del genocidio di Gaza e della sua sponsorizzazione da parte delle potenze occidentali.
Se gli eventi in Asia occidentale ci stanno insegnando davvero qualcosa, è proprio che lo Stato sionista – una grottesca creatura dell’imperium americano, non dimentichiamolo mai! – ha condotto gli Stati Uniti e i loro alleati transatlantici in una nuova epoca. Una epoca nuova e insopportabile. Si tratta di una trasformazione storico-mondiale.
Il “potere diretto” dei decenni del dopoguerra emerge ora come un potere totalizzato. Questo è il potere che i palestinesi subiscono quotidianamente, un potere che riduce l’umanità a uno stato di sopravvivenza continua e incessante. Agamben lo ha descritto bene, coniando il termine “nuda vita” in Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita e l’ha elaborato in L’uso dei corpi. Questo è il potere come l’America tardo-imperiale inizia a proiettarlo nella sua ultima difesa del primato globale. Possiamo leggere il genocidio di Gaza come un annuncio di ciò che questo comporta. I palestinesi sono le nostre cavie, il nostro avvertimento della minaccia che incombe su tutti gli esseri umani, tutte le istituzioni e tutte le nazioni che l’imperium giudica come impedimenti all’esercizio della sua volontà.
Jonathan Cook, noto commentatore e autore britannico, è andato dritto al punto in un saggio pubblicato il 21 ottobre con il titolo “Il sostegno dell’Occidente al genocidio di Israele sta distruggendo il mondo come lo conosciamo”. Lo ha scritto sull’onda emotiva della morte di Shaaban al-Dalou, un 19enne palestinese bruciato vivo, insieme alla madre, mentre riceveva cure mediche nel nord di Gaza la settimana precedente. Ecco un passaggio di quello che considero lo scritto più penetrante sulla crisi di Gaza da quando è iniziata il 7 ottobre 2023:
Ciò che Israele ha chiarito, con il sostegno delle capitali occidentali, è che non esiste un luogo sicuro, nemmeno per coloro che si stanno riprendendo in un letto d’ospedale dalle precedenti atrocità di Israele. Non ci sono “non combattenti”, non ci sono civili. Non ci sono regole. Tutti sono un bersaglio. E ora questo include non solo i popoli di Gaza, della Cisgiordania occupata e del Libano, ma lo stesso organismo che dovrebbe fungere da custode dei codici di diritto umanitario creati dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto: le Nazioni Unite.
Con il senno di poi, ci sono stati vari segnali, prima del 7 ottobre, che hanno suggerito che gli Stati Uniti e i loro clienti transatlantici fossero intenzionati a totalizzare il potere in modo che la forza sostituisse la legge, l’autorità istituzionale, le norme umane e tutte le altre fonti di ordine globale. L’incarcerazione palesemente abusiva di Julian Assange in una prigione di Londra, dopo un procedimento giudiziario farsescamente illegale, è stato un chiaro esempio. Assange è libero, ma abbiamo assistito all’arbitrarietà sconvolgente nella quale possono operare Gran Bretagna e Stati Uniti: lo stato di eccezione in cui chi fa la legge è al di sopra della legge.
Dobbiamo considerare la guerra per procura delle potenze occidentali in Ucraina un altro di questi casi. Oggi abbiamo un numero di morti ben superiore alle sei cifre, dopo che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno sabotato vari sforzi per raggiungere una soluzione pacifica. E la lunga e micidiale operazione segreta contro il governo di Assad a Damasco, che ha causato centinaia di migliaia di morti e di sfollati, sia all’interno che all’estero, altri milioni: che cos’è questo se non lo stato di “nuda vita” imposto a un’intera popolazione?
Ma era difficile leggere questi eventi come teatri di una guerra più ampia, per così dire, fino a quando Israele non ha iniziato la sua campagna di terrore in continua espansione in Asia occidentale. Ora le cose sono perfettamente chiare, a patto che si riconosca lo Stato sionista come strumento dell’imperium americano e non, come pretende il regime di Biden e come alcuni di noi credono, come agente autonomo al di fuori del controllo dell’America. È amaro riconoscerlo, ma tutto ciò che i sionisti hanno fatto da quando, l’8 ottobre di un anno fa, hanno iniziato ad attaccare i palestinesi di Gaza è conforme al grande piano di Washington in Asia occidentale e, direi, del mondo intero.
La distruzione del diritto – il diritto internazionale, le leggi di guerra – la normalizzazione del terrore, la fame sistematica, l’assassinio di massa di civili, l’uccisione di giornalisti (128 secondo l’ultimo conteggio), gli attacchi agli ospedali e al loro personale, agli operatori umanitari internazionali, ai contingenti di pace delle Nazioni Unite nel sud del Libano. Tutto questo è conforme all’obiettivo principale dell’America che si proietta in un secolo che non capisce: Questo è il sovvertimento dell’ordine mondiale post-1945, per quanto imperfetto sia stato, a favore di una frode assurdamente mal denominata che Washington ora proclama “ordine internazionale basato sulle regole”.
In un’intervista illuminante pubblicata sotto il titolo “Gaza: L’imperativo strategico”, Michael Hudson, economista dissidente, considera le ultime aggressioni dello Stato sionista, le peggiori della sua storia, come il logico risultato delle politiche estere a lungo sostenute dagli ideologi americani di destra – noti come neoconservatori. Hudson fa risalire l’influenza di sionisti tra loro dagli anni Settanta. I neoconservatori hanno iniziato a raggiungere posizioni di influenza durante gli anni di Reagan. A questo punto, sostiene correttamente Hudson, il loro potere sulla politica statunitense è perfettamente identificabile:
Quello che vedete oggi non è semplicemente il lavoro di un uomo, di Benjamin Netanyahu. È il lavoro della squadra che il Presidente Biden ha messo insieme. È la squadra di Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale, [il Segretario di Stato] Blinken, e tutto il Deep State, l’intero gruppo neocon dietro di loro, Victoria Nuland e tutti gli altri. Sono tutti sionisti autoproclamati. E hanno esaminato questo piano per la dominazione del Vicino Oriente da parte dell’America un decennio dopo l’altro.
Il contesto storico che Hudson dà alla “guerra dei sette fronti”, come il Primo Ministro Netanyahu chiama le campagne di terrore in atto, è molto utile. Se la causa sionista è stata a lungo una delle priorità dei neocons – direi la prima – essi sono stati anche e sempre i più vigorosi guerrieri “del freddo”. I loro discendenti ideologici si discostano poco da questa eredità. Sono altrettanto dediti alla causa sionista e, da frenetici russofobi e sinofobi, sono impegnati nella sovversione della Russia e della Cina come i loro antenati lo erano nella distruzione dell’Unione Sovietica e della Repubblica Popolare. Non dimentichiamo che, mentre Israele strappa ferocemente ogni nozione di ordine attaccando i palestinesi, i libanesi e, prima o poi, gli iraniani, le conseguenze saranno globali: sta effettivamente definendo cosa significherà il potere totalizzato quando l’America lo eserciterà ovunque lo voglia. Questo è ciò che intendo per trasformazione storico-mondiale la cui importanza non può essere sopravvalutata.
Alcuni anni fa, mi sono seduto con Ray McGovern, ex analista della Central Intelligence Agency e ora critico di spicco della politica estera americana, nella hall dell’Hotel Metropole di Mosca. Trovandoci in territorio kennaniano, se così si può dire, chiesi a McGovern se il pensiero del famoso diplomatico sui “concetti di potenza diretta” fosse ancora una spiegazione adeguata della condotta americana all’estero.
“Vedo lo stesso spirito di diritto, lo stesso non celato sentimento di superiorità”, ha risposto McGovern. “Ma vedo anche molta paura”. “Non potrei essere più d’accordo con lei”, ho detto convintamente. “Sotto la spavalderia del petto siamo un popolo spaventato”. McGovern pensò per un attimo e poi ebbe l’ultima parola sull’argomento. “Sì”, ha detto, “credo che le persone intelligenti sappiano che l’impero è in caduta”.
Questo scambio è avvenuto alla fine del 2015, quando McGovern e io ci siamo incontrati mentre partecipavamo a una conferenza sponsorizzata da RT, l’emittente russa. L’onda di isteria nota come Russiagate si stava diffondendo come un vento nel discorso pubblico americano. Ho registrato e pubblicato la nostra conversazione, durata un paio d’ore, come intervista in due parti. Le potete leggere qui e qui. Racconto questo passaggio della nostra conversazione perché contribuisce in modo significativo a spiegare perché viviamo in mezzo alla trasformazione che descrivo, mentre il “potere diretto” lascia il posto al “potere totalizzato” in Occidente. Paure, insicurezze, timori di ciò che verrà: quante volte hanno spinto il comportamento delle nazioni che ne sono state preda?
Come ho sostenuto più volte nel corso degli anni, tutti gli americani, non da ultimo le cricche politiche del Paese, sono stati profondamente scossi dagli eventi dell’11 settembre 2001. La storia, per dirla in modo semplice e complessa allo stesso tempo, era tornata all’improvviso dentro un popolo che aveva passato quattro secoli a pensare di esserne immune. Riflettendo una misura di incertezza che gli americani non sentivano dai primi anni del dopoguerra – così ben fotografati da Luigi Barzini – la politica estera del dopo 2001, a partire dalle invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, è diventata sempre più aggressiva, sempre più priva di leggi e sempre più irrazionale. Al momento dell’insediamento di Joe Biden nel 2021, l’ascesa delle potenze non occidentali, in particolare, ma non solo, di Cina e Russia, aveva accentuato lo “spavento” di cui parlava Ray McGovern fino a farlo diventare un fattore molto potente nel determinare il carattere della politica americana.
Il vertice dei Paesi BRICS a Kazan, dal 22 al 24 ottobre, non potrebbe sintetizzare meglio questo punto. Quale promemoria più efficace potrebbe esserci per ricordare che un nuovo ordine mondiale, degno di questo nome, sta nascendo con la stessa rapidità con cui l’Occidente si autodistrugge? Nessuna amministrazione americana in questo secolo si è comportata all’estero creando fiducia. L’ossessionante consapevolezza che “l’impero è in declino” mentre le potenze non occidentali crescono ha indotto tra gli addetti alla sicurezza nazionale di Biden uno stato d’animo da “ora o mai più”. Allo “spaventato” dobbiamo ora aggiungere “disperato”.
Questa è la mia lettura dell’attuale regime americano. È per disperazione che la Washington di Biden persegue una sconsiderata politica di aggressione verso la Russia che rischia di degenerare in uno scontro nucleare, e per disperazione invia lo Stato sionista a “rifare il Medio Oriente” – una frase cara ai neoconservatori – sovvertendo tutte le regole di condotta internazionale.
Gli Stati Uniti avevano una scelta dopo gli eventi dell’11 settembre. Tra il procedere in un mondo nuovo con delicatezza, immaginazione e coraggio e il resistere, con disperazione, alla violenza e inutilità, al giro di boa della storia. Non è mai stato difficile capire che le cricche politiche di Washington avrebbero scelto la seconda strada. Ma chi poteva prevedere gli estremi a cui le sue ansie striscianti l’avrebbero portata, primo fra tutti le depravazioni che ora sponsorizza a Gaza? Chi poteva prevedere la sua sbandata autodistruttiva verso una forma di potere che ha forza ma non dignità, che resterà solo come una macchia sulla storia umana molto tempo dopo che il suo tempo sarà passato?
[da l’Antidiplomatico]
Leggi anche Patrick Lawrence – De-Westernizing ourselves
Da integrare con gli articoli di Fabio Vighi: